a cura di Domenico Pinto
Specchi neri forma l’ultimo incastro di Nobodaddy’s Kinder («Figli di Babbonemo»), la trilogia narrativa che Arno Schmidt scrive sull’onda dello choc bellico. Dopo le stazioni intermedie di Dalla vita di un fauno e Brand’s Haide, il romanzo chiude un ciclo che produrrà violenti scosse nella letteratura tedesca del secondo Novecento, innovando forme e mezzi espressivi di una lingua svuotata dal nazismo. La visione estrema di un mondo dove la civiltà dell’uomo – per gli effetti della guerra nucleare – non è più contemplata, modella l’antiutopia di un erudito solitario che vaga nella Germania del dopobomba. E come vuole la simmetria dei due precedenti romanzi, il protagonista, in cui si riflettono tratti di Schmidt, vivrà anche in questo libro una storia d’amore senza speranza: la fabula rasa non disegna alcun Eden.
Scrive Goffredo Fofi in copertina:
… La storia costituisce un raro esempio di incursione europea nella fantascienza, anticipandone il filone americano del dopoguerra atomico. E si potrebbero trovare molti parallelismi tra queste narrazioni e le tante di sopravvissuti alla “fine del mondo” di cui è prodiga la letteratura alta e bassa degli ultimi anni. Dopo il secondo conflitto mondiale la parola d’ordine era speranza, ricostruzione; ma vi fu chi, cosciente della vastità del disastro, non si illuse sull’attitudine dell’uomo di essere nemico all’uomo e al mondo, e tra questi irriducibili misantropi Schmidt osò distaccarsi, anche nella vita, dalla società e dalle sue pompe – tanto più da quelle della società letteraria – scegliendo una distanza da anacoreta.
Ritroviamo in Specchi neri il reduce che registra le sue peregrinazioni, fra i pochi uomini che la sorte ha assistito, come da una macabra zattera della Medusa: colto loico razionale, ateo e spregiudicato, si aggira in luoghi che fanno parte della privata geografia dell’autore, e ragiona a freddo sul passato e sul presente. Il protagonista percorre un itinerario orientato dagli incerti della sopravvivenza e dalla ricerca più o meno consapevole di altri superstiti, finché nella seconda parte del romanzo, che raggiunge un ipotetico 1962 – anno in cui davvero si avrà la crisi atomica – non incontra la Donna: l’ultima Eva.
Come in una sofisticata commedia americana degli anni Trenta, mettiamo Accadde una notte, il gioco dell’attrazione e dell’incontro è pieno di humour, ma esclude, sebbene con insolita leggerezza, ogni lieto fine. Ed è Eva a sottrarsi – rivendicando la propria indipendenza e irrequietezza – alla responsabilità di continuare la specie, al radicamento dei nuovi pionieri, preferendo comportarsi da Natty Bumppo al femminile e da ultima dei Mohicani.
Se la lucida misantropia schmidtiana fa pensare, come suggerisce il traduttore, ai nostri Dossi Gadda Manganelli (cui si può senz’altro aggiungere Landolfi), gli “specchi neri” del titolo rimandano – in una chiave ironica, disincantata e perfino, qui, scanzonata – allo speculum in aenigmate di Paolo; ma anche a uno dei più acri e visionari romanzi sul futuro venuti dopo Schmidt: Un oscuro scrutare di Philip K. Dick.
Goffredo Fofi
Recensioni
Non ci sono ancora recensioni.